L’insostenibile leggerezza degli impasti dello scienziato Raffaele Bonetta
È un biologo mancato Raffaele Bonetta.
Se non avesse intrapreso la strada della pizza, avrebbe portato a termine lo studio dei fenomeni che caratterizzano la vita. Ed è proprio grazie alla passione per la biologia, che gli ha fornito gli strumenti per approfondire gli studi sui lievitati, che oggi si ritrova ad essere un pizzaiolo esperto in metodologie e tecniche di impasti come pochi altri, conquistando il 29° posto nella Classifica Italia di 50TopPizza 2020 con il suo Ristorante Pizzeria Ciarly e il titolo di Performance dell’Anno 2020 – D’AMICO AWARD.
Raffaele ha una grande capacità di condurre approfondimenti e ricerche, nonché fare sperimentazioni, con metodo scientifico. Studia i meccanismi cellulari e molecolari, i processi chimici e fisici dei lieviti e delle farine, la genetica, lo sviluppo e l’evoluzione delle fermentazioni, le maturazioni degli impasti e dei batteri. Si muove come uno scienziato che osserva i fenomeni per individuare reazioni e sostenere poi nuove e più approfondite tesi.
Ma non è finita qui, perché sa tutto anche di conservazione e di alimentazione e – udite udite – anche di tecniche di alta cucina e di abbinamenti degli ingredienti per creare armonie, raggiunte sempre con l’approccio scientifico che parte dalla scelta della materia, attraversa le leggi della termodinamica e termina con la fisiologia del gusto.
Continuamente aggiornato, il suo ultimo approfondimento professionale lo ha visto tra le cucine della scuola ALMA – la Scuola Internazionale di Cucina Italiana – dove l’autorevole centro di formazione professionale ha appositamente organizzato lezioni di cucina personalizzate sulle sue esigenze. Insomma, Raffaele è un vero talento, una testa incredibile: si fa fatica a stargli dietro se non si ha un minimo di conoscenza in materia.
È grazie alla scuola alberghiera che Raffaele Bonetta ha intuito la strada da seguire, comprendendo che poteva coltivare il suo interesse per la biologia anche studiando tecniche nuove e tradizionali di panificazione, scoprendo così che la “magia” del processo di lievitazione si basa su studio e conoscenza, e che la passione da sola non basta per ottenere un risultato eccellente.
“La mia famiglia mi ha sempre detto che c’è una grande differenza tra fare il pizzaiolo e avere una pizzeria ” – racconta Raffaele – “Così, mentre lavoravo come garzone nel locale di famiglia, la pizzeria Ciarly, a Napoli, in Piazzale Tecchio, tra un servizio e l’altro ho cominciato a fare i primi esperimenti preparando il pane. Ero affascinato nel vedere come la materia cambiasse forma sotto le mie mani, per poi trasformarsi in qualcosa che servisse alla sopravvivenza dell’uomo: il cibo, il pane in questo caso. Mi emozionavo, più lo facevo e più mi convincevo che era il mio mondo”.
Studi antropologici sul cibo sostengono che la panificazione è un chiaro segno di intelligenza, di ingegno dell’uomo. Chi la pratica applicando la conoscenza dei processi legati alla preparazione del pane, non solo “fa il pane” ma rinnova memorie, valori e tradizioni. Non si tratta di essere fornai e preparare meccanicamente il pane senza…. conoscerlo, ma di indagare, visto che materiale di ricerca ce n’è molto e questo alimento è, insieme con il vino, simbolo di quel “lavoro dell’uomo” che marca l’evoluzione della civiltà.
Oggi, a 36 anni di età, oltre a preparare le pizze da Ciarly, Raffaele è anche un docente dell’Accademia Nazionale PIZZA DOC, dove i suoi corsi sulle tecniche avanzate di preparazione della pizza contemporanea sono sempre esauriti.
Ma come è l’impasto di Raffaele Bonetta? E’un inno alla leggerezza e le sue pizze raggiungono il massimo del connubio tra digeribilità ed equilibrio dei sapori. Provate la “semplice” Margherita, dove il dosaggio corretto degli ingredienti per il topping evidenzia il disco di pasta lievitato, e viceversa.
Il suo lavoro è ammirato dagli allievi e imitato dai tanti che aspirano ad avere la sua conoscenza e la sua esperienza.
Raffaele ha però un segreto nel preparare gli impasti: ha codificato un suo personale disciplinare di produzione, che prevede la trasmissione della conoscenza attraverso la lavorazione pratica dell’impasto.
È come la disciplina naturale del “reiki”, con la cui pratica si veicola energia attraverso le mani. Raffaele afferma: “La pizza che preparo deve piacere innanzitutto a me, se no non riuscirei a farla mangiare agli altri”.
E di solito la sua pizza non piace solo a lui, infatti.
“Ai miei corsi insegno le tecniche per ottenere degli ottimi impasti, partendo dai capisaldi che sono: biga, poolish e autolisi, le colonne della panificazione. Poi mostro le diverse declinazioni dei vari metodi, applicandole infine alla pizza. Ma c’è una componente che non posso raccontare e trasmettere, che è la voglia di fare sempre meglio, di spingersi sempre più in là: si chiama “passione” per il proprio lavoro. Ai ragazzi che mi seguono dico che al di là della conoscenza delle tecniche dell’arte della panificazione e del conoscere tutto, veramente tutto, su come si prepara la pizza, ciò che è fondamentale è personalizzare l’impasto. Trasferire la propria identità in quella materia che siamo proprio noi a creare e a lavorare. Questo fa la differenza”.
“Il mio impasto ideale? quello ottenuto con una piccola percentuale di pre-fermento di tipo biga a lunga maturazione” .
La biga è un metodo di panificazione oggi molto diffuso nel mondo della pizza, la cui origine si perde nella notte dei tempi. Il nome “biga” prende spunto da un noto mezzo di trasporto utilizzato nell’antica Roma: il cocchio, un tipo di carrozza veloce trainata da due cavalli, da cui il nome. Infatti questa tecnica di panificazione ha il compito di “trainare” nell’impasto alcune caratteristiche, sfruttando in maniera consistente sia la fermentazione lattica, sia quella alcolica prodotta dal saccharomyces cerevisiae (un organismo che appartiene alla categoria dei lieviti) usato come starter per la lievitazione.
“Questa tecnica di panificazione – racconta Raffaele – consiste nel preparare un pre -impasto, ottenuto miscelando acqua, farina e lievito. Una volta pronto, si presenterà in forma abbastanza grezza, non compatta e senza maglia glutine. Dopo un periodo di riposo verrà unito all’impasto finale. Parte da quel momento la fermentazione acido alcolica, durante la quale si producono molti acidi organici precursori di aromi e profumi. Va da sé che la preparazione della biga richiede molta attenzione, tenendo presente che non c’è una ricetta con dosi fisse, ma le proporzioni cambiano a seconda della stagione o della temperatura del luogo dove si lavora”.
Questa tecnica chiamata anche “metodo indiretto” (miscelazione e unione degli ingredienti in due momenti: pre-impasto e re-impasto) conferisce alla pizza leggerezza, sofficità, scioglievolezza, aromaticità, sapore intenso e una accentuata alveolatura del cornicione.
Da che cosa si parte per ottenere un buon impasto? “Dalla farina, ovviamente” risponde Raffaele. Solo conoscendone la scheda tecnica, dove sono fornite un insieme di informazioni, come l’umidità massima, la forza (proteina), la resistenza allo stiramento e l’estensibilità, si può procedere alla preparazione.
Raffaele Bonetta, con la sua conoscenza e tanta passione, rende gradevoli anche a chi non è del mestiere parole come “alveografo di Chopin”, “farinografo Brabender” e “falling number”, lasciando immaginare che siano personaggi meravigliosi e bizzarri di una favola il cui lieto fine si chiama “pizza contemporanea”.
fonte: 50toppizza